01.08: İSTANBUL - MERCATI E MOSCHEE

È il nostro ultimo giorno di permanenza ad İstanbul, e ci lanciamo in una bella e lunga camminata che andrà a toccare i luoghi più interessanti e non sempre turistici di questa interessante città.
La nostra prima tappa è il Gran Bazaar (Kapalı Çarşı, “mercato chiuso”), un enorme quartiere formato da un dedalo di vie coperte da un enorme tetto. All’interno, 4000 negozi ed almeno 10.000 turchi ti aspettano per convincerti a comperare delle lampade, dei piatti, dei tappeti, dei dolci (compreso il “Turkish Viagra”, ossia fichi e nocciole ricoperti di miele).
Oltre questo bazaar, abbastanza dedicato ai turisti, si arriva in Yağlikcılar Caddesi, e proseguendo lungo Uzunçarşı Caddesi (“via del mercato lungo”) si apre il vero mercato per i turchi, davvero molto più interessante e conveniente; qui adocchiamo molte cose che speriamo di poter comprare l’ultimo giorno della nostra vacanza, quando ritorneremo per gli acquisti finali.
Sempre lungo questa strada troviamo due moschee davvero molto belle: la Süleymaniye Camii (“moschea di Solimano”) e la Rüstem Paşa Camii.
Sotto Solimano il Magnifico l’impero ebbe il massimo dello splendore, ed in suo onore, tra il 1550 ed il 1557, venne creata, in cima ad una collina, la moschea più grande di tutta la città. L’architetto è il più famoso di tutta la storia turca, ossia Mimar Sinan, e se l’interno non è riccamente decorato come la Moschea Blu, la sua dimensione è davvero spettacolare.
Mentre siamo ancora seduti sui tappetini, arriva dalla nostra destra una signora, che offre a tutti (noi compresi) una zolletta di zucchero. Ringraziamo, anche se purtroppo non capiamo a quale evento stiamo partecipando.
Vicino alla moschea vediamo la tomba di Solimano, ma non quella del grande architetto! Schiviamo mille bimbi che chiedono soldi e cercano di vendere fazzolettini, e mi lancio nella mia prima domanda in turco ad una signora che si sta avvicinando a capo chino, cercando frettolosamente di mettere ordine alle varie parole che ho memorizzato in questi pochi giorni: “Lüften, Sinan Türbesi?” (Per favore, la tomba di Sinan?).
La signora improvvisamente alza lo sguardo, si illumina, e parte in una spiegazione assolutamente incomprensibile ma che per fortuna accompagna con ampi gesti della mano.
“Teşekkürler”, le dico per ringraziarla, e mentre il muezzin intona la preghiera del Corano, che si diffonde per le vie grazie ai potenti altoparlanti installati sui minareti, noi ci dirigiamo verso la tomba.
Il nostro frugale pranzo consiste in una ciambella di pane (simile al Bretzel tedesco), del costo di 300.000 lire, ed in una pannocchia alla piastra (1.000.000 di lire), entrambe acquistate in strada presso un baracchino: in un tipico quartiere turco è d’obbligo mangiare il quotidiano cibo dei turchi! Riprendiamo la via del mercato per giungere ad un’altra splendida moschea, la Rüstem Paşa Camii. Quasi non la notiamo, perché si trova sopra il livello della strada: bisogna stare attenti a cercare una scala che sale verso l’alto per ammirare questo tempio turco.
Forse più che mai, qui respiriamo la sacralità del luogo. Quasi non ci sono turisti, e molti turchi sono inginocchiati vicino al mihrâb, la nicchia per la preghiera rivolta verso la mecca; il silenzio e la bellezza delle maioliche ci ammutoliscono, e quasi strisciamo via per non disturbare la preghiera. L’ultima meta è la “moschea nuova”, la Yeni Cami. Non dice molto, ma è molto bello il cartello, in inglese, vicino all’ingresso: spiega che bisogna entrare senza scarpe, non far suonare il cellulare, e comportarsi in maniera adeguata; a conclusione, anziché scrivere “Thank you for your cooperation” troneggia un “Thank you for your coordination” che mi fa veramente spisciare dalle risa! Si avvicina la sera, e quindi la nostra partenza.
La nostra idea iniziale era quella di farci una nottata abbastanza comoda nei moderni treni turchi della TCDD, arrivando così ad Ankara; da là, in cinque ore avremmo potuto raggiungere la Cappadocia. Qualche giorno prima, dunque, andiamo nel quartiere di Eminönü, in stazione (la mitica stazione da cui partiva il treno dell’Orient Express, con destinazione Parigi), ma, con grande disappunto, non vediamo nessuno sportello aperto. L’unica persona che sembra lavorare ad una scrivania ci vede, ma non ci considera minimamente; ad un addetto, che sta passando di là, chiediamo come fare per comperare il biglietto, ma ci dice solo “Problem” e se ne va senza ulteriori commenti.
Finalmente riusciamo a capire che tutti i treni da e per Ankara sono sospesi, causa deragliamento sulla stessa linea avvenuto circa due settimane prima della nostra partenza. L’unica soluzione è, dunque, un lungo viaggio notturno in corriera (ditta Nevtur), che in 11 ore ci porterà in Cappadocia. Ma com’è nata esattamente la Cappadocia? Stando alle informazioni (le uniche) giunteci dal geografo Strabone (63 aC-24 dC), era una piccola regione chiamata dai Persiani “Katpatuka”, ossia “terra dei bei cavalli”. L’antico testamento, invece, chiama questa regione “Cappadocia”. In Turchia, il termine usato è indifferentemente Cappadocia o Kapadokya. Sono le 20, si parte.

Mimar Sinan
Il nostro pasto: pannocchie e pane turco
Thank you for your coordination?!